“Nostra, di Spinapulici, dici, quella là? Nostra di noi? Terrona della Terronia? Certificata meridionale? E chi? E perché? E quando? E come mai? E sarebbe? E non sarà forse? E se fosse? Comunque, però? E che cavolo di un cavolo, dunque?” sparò infatti il coro delle voci gracchianti, acute, profonde, stonate, angosciate, irridenti, sbalordite, del virilume stravaccato nel bar.
“Proprio lei. Giusto lei. Esattamente lei. Essa, è. E, se non è lei, è la copia precisa di lei medesima. Lei, naturalmente con qualche chilo di più. Qualche decina, anzi. O forse un centinaio. E’ proprio quella femmina, comunque: ci giurerei sul mio onore di maschio. E’ tornata, ragazzi, tutto qui. Come il cane Lassie, come gli zombie dei film. E gonfia di soldi, a quanto abbiamo appena potuto vedere”.
In un Sud immaginario e colorato, a Spinapulici, un paesone a forma di cono come la Torre di Babele, Addolorata Lo Cascio, detta Mimì, terrona patentata, è ritornata dopo avere vissuto a lungo al Nord ed essersi arricchita in modo vergognoso.
E’ rientrata nella sua terra per rivalersi di una giovinezza da miserella povera in canna e costantemente ignorata dagli uomini.
Al polveroso bar della piazza, dai nullafacenti cronici che vi bivaccano in permanenza, naturalmete è subito riconosciuta.
Anche se nessuno ancora sa che Mimì adesso è là per farlo più o meno a fettine, il virilume inutile e fastidioso del paese conico.
Ma con lei – che infatti se la prenderà in modo fortissimo con il sesso che forte lo è solo di nome – si vendicherà anche tutta quanta la carnale e felice Terronia nei confronti della frigida e agiata Polentonia, il Sud sul Nord, che al momento è rappresentato dall’orribile Giusy Brambilla che accompagna Mimì: una zitellaccia biliosa e secca come un’aringa affumicata che adora Alexandre Dumas, è razzista certificata nei confronti del Meridione, ma soprattutto è in attesa spasmodica dell’amore da tutta una vita.
O forse, in realtà, vorrebbe acchiappare un testosteronico maschione terrone cafone, ma nerboruto come il D’Artagnan dei suo sogni.
O magari, come purtroppo le accadrà, spasima per essersi invaghita di un brigante sanguinario e fetente, e pure scannatore di professione, ma fascinoso e virilissimo come mai nessun altro.
Dopo mille fantasmagoriche e paradossali avventure, dopo l’entrata in scena di una miriade di personaggetti incredibili – non sempre umani, ma anche animali – dopo qualche bella e grassa risata alle spalle dei vanagloriosi maschietti, alla fine però, tra i due sessi in guerra, tra Terroniland e Polentoniland, chi la spunterà?
Lo si vedrà nel corso della festa paesana finale, la più folle che sia mai stata descritta in letteratura.
Ma Giacomo Casanova però in tutto questo che accidempoli c’entra?
Beh, lui dell’essere maschio ne sapeva qualcosa in più di chiunque, e quindi c’entra per forza.
Settecentesche mutande comprese.
Massimo Trifirò è nato e vive a Lecco, della quale è Cittadino Benemerito. È lo scrittore che ha dedicato più pagine di narrativa alla sua città. È laureato in Scienze Politiche con specializzazione in Storia. Fin da giovane è stato attratto dalla scrittura, alla quale si è costantemente dedicato durante tutta la sua vita.
Ha collaborato a giornali nazionali, regionali e locali, nonché a riviste nazionali. Oltre che di numerosi interventi sui periodici, è autore di decine di libri di diversa categoria: antologie di racconti, romanzi di spionaggio, comici e di genere fantastico, biografie religiose, studi evangelici, rievocazioni storiche in forma saggistico-narrativa, dialoghi filosofici, raccolte di aforismi, antologie poetiche, libri di satira politica a fumetti.
Le sue opere più importanti sono una rivisitazione de “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni (“Il manoscritto graffiato”, 2010) e un romanzo-saggio sulla Passione di Cristo (“Gulgalta”, 2018).